La nuova personale di Silvio Formichetti è dal 19 Marzo al 24 Aprile 2016 a Umbertide (PG) pressp la Rocca di Umbertide – Centro per l’arte contemporanea.
La mostra è a cura di Anna Amendolagine
Il silenzio si evolve ed esplode nelle opere di Silvio Formichetti
Il silenzio, la totale assenza di suoni e rumori, è carico di significati.
Il silenzio, il non espresso, è pregno di emozioni e di stati d’animo.
è un modo di comunicare. In senso metaforico, può indicare l’astensione dalla parola o dal dialogo. O una volontà di non comunicazione: chi decide di non parlare o di non dire manda comunque un messaggio e pertanto compie un atto linguistico.
Il silenzio regna nella notte. Anche il buio regna di notte. L’abbinamento buio-silenzio rimanda al colore nero. E il nero in realtà è un non colore che li comprende tutti. è al buio che riusciamo a vedere cose che altrimenti non potremmo: un cielo stellato, i pianeti, la Via Lattea, le costellazioni. Un’idea di cosmo che si affaccia alle nostre menti.
è nel silenzio della notte che si odono anche i più impercettibili rumori. In un concerto è proprio quando si fa silenzio che la musica può cominciare. Col silenzio la musica finisce e scoppia l’applauso. Come nella musica il silenzio contrassegna una pausa molto importante.
Il silenzio è la condizione previlegiata che permette all’essere umano di entrare più profondamente in contatto con il suo paesaggio interiore. Non a caso le religioni di tutti i continenti invitano a placare il turbinio della mente per ritrovare la propria spiritualità. è nella dimensione del silenzio, una dimensione alquanto irreale perché lontana dall’ambiente esterno, che ci si pone in uno stato di ascolto della nostra realtà intima.
A un certo punto il silenzio si evolve e diventa linguaggio.
“Il silenzio è il linguaggio di tutte le forti passioni”, scrive Leopardi da qualche parte nello Zibaldone.
Dal silenzio della sua indagine interna, le passioni, le sensazioni, i sentimenti di Silvio Formichetti esplodono in un linguaggio pittorico che si esprime sulla tela tramite azione, materia e colore. Non essendo distratto da una forma, l’artista si concentra sui gesti e sui colori. Forti, potenti, decisi. Quei colori che meglio rispecchiano il suo stato d’animo o la sua ricerca interiore. Quanto più forte e materico è l’impasto cromatico, quanto più potente è il gesto tanto più incisivo risulta l’impatto del suo lavoro sul pubblico. E qui si tratta di un impatto diretto, viscerale e che fa presa sull’osservatore senza passare attraverso filtri intellettuali.
Le opere di Formichetti vanno guardate in assoluto silenzio perché sono già molto chiassose. Il colore come materia. La forte accentuazione cromatica e l’incisività del segno. Il ritmo sincopato e serrato delle pennellate e delle linee. Tutto concorre a riversare sulla tela il fitto dialogo interno che l’artista imbastisce con se stesso e la sua anima. Quello che traspare, tuttavia, non sembra essere un colloquio tranquillo anzi ne emerge un dibattito piuttosto vivace. A ritmo battente, incalzante. Forse è un bisticcio.
Eppure nell’ immediatezza dell’atto pittorico si nota una compostezza, una centratura della composizione sulla tela che paradossalmente non presenta sbavature. Aldilà delle colature del colore – il famoso dripping, tecnica tipica dell’Action Painting americana – della pennellata impetuosa e del gesto impulsivo, delle vertiginose combinazioni cromatiche, scopriamo una saggezza nella disposizione degli elementi nel quadro che prescinde dalle nostre aspettative. Il risultato è un unicum compatto, senza lacerazioni.
La mostra di Silvio Formichetti a Umbertide testimonia tante cose.
Intanto è testimonianza che l’espressionismo informale astratto è ancora vivo e vegeto in Italia. In particolare come viene vissuto e re-interpretato dall’artista abruzzese che accetta l’eredità di una corrente pittorica del ‘900 e si rifà al movimento europeo CoBrA, nonché all’Action Painting, e riconosce come suoi Maestri i grandi Vedova, Dova, Afro e Hans Hartung.
In secondo luogo testimonia il percorso artistico che il pittore ha fatto nell’arco di un decennio. Si parte dalle opere del 2007, a tecnica mista o a olio, su tela o su juta, con uso prevalente di spatola, strumento che permette di dilatare il colore all’interno dello spazio del quadro. La superficie della tela risulta quasi totalmente coperta dal bianco e dal nero, in tutte le loro gradazioni, che fungono da base per i veri protagonisti della scena: i colori rosso, verde e giallo.
A cominciare dal 2010 si nota un intensificarsi dell’utilizzo dell’olio, la cui caratteristica principale è quella di conferire al colore una consistenza più morbida ma al tempo stesso più luminosa e trasparente. Il bianco prevale sul nero. Il gesto si infittisce e le pennellate acquistano a volte una evidente tridimensionalità che dona all’opera un’indiscussa profondità. Anche il dripping viene usato con una certa frequenza. Sono gli anni in cui l’artista percorre la dimensione invisibile della sua interiorità ed esplora i labirinti dell’anima per rivelarne le bufere che la tormentano. L’azione pittorica si ritira al centro della tela lasciando spesso vuoto il perimetro del quadro e la composizione astratta appare fluttuante in un universo tutto suo.
Nei lavori dal 2011 in poi si percepisce la sperimentazione di differenti armonie di toni: i colori risultano più tenui e gli accostamenti cromatici più delicati. Formichetti scopre un alfabeto dell’anima con cui compone parole, pensieri e riflessioni i quali a loro volta si intrecciano in dialoghi e conversazioni. C’è senz’altro maggiore silenzio ma allo stesso tempo anche più ascolto.
Un cenno a parte merita l’opera dal titolo “La materia m’invade mentre il silenzio urla”, voluta da Vittorio Sgarbi nel 2011 per il Padiglione Italia della 54° Biennale di Venezia. L’opera era stata realizzata, su commissione della nota critica Silvia Pegoraro, in occasione della mostra: “Cromofobie. Percorso del bianco e nero nell’arte Italiana dal dopoguerra ad oggi”, svoltasi a Pescara nel 2009. L’ esposizione fu patrocinata dal Ministero per i beni e le attività culturali nonché dalla Biennale di Venezia con un catalogo edito da Mazzotta dove l’esordiente Silvio Formichetti figura, con il quadro in questione, accanto a nomi importantissimi quali: Burri, Fontana, Vedova, Santomaso, Kunellis, Manzoni, Schifano, Castellano, Bonalumi, Turcato, Accardi, Boille, Lombardo e Pace.
Questa mostra testimonia inoltre il dialogo dell’artista con la Rocca di Umbertide. Vale a dire il presente che incontra il passato e ci si confronta.
E per ultimo testimonia il primo appuntamento di questo esuberante artista con la stessa città di Umbertide e con l’Umbria, la regione nel cuore verde d’Italia, da sempre crocevia di genti e di scambi. Scrigno di tesori di arte e di cultura. Ai quali d’ora in avanti si aggiunge con entusiasmo il legame con l’arte di Silvio Formichetti.
Anna Amendolagine